Lavrentij Pavlovic Berija: criminale comunista

Edito il 14 dicembre 2014


Lavrenti Pavlovic Berija fu definito da Stalin stesso come “il nostro Himmler”.

cornice Il suo aspetto da intellettuale nascondeva la ferocia di una belva assetata di sangue, unita ad una smisurata ambizione e ad un cinismo criminale.

Il suo ruolo durante gli anni delle grandi purghe fu attivo, come esecutore della grande repressione ordita da Stalin, così come quello di Nikolaj Ezov, da cui i russi trassero il termine di “ezovscina” per indicare il periodo delle purghe.

Agli occhi del popolo, Stalin appariva come il loro protettore, paterno e sorridente, così come veniva presentato dalla propaganda di regime, che induceva a far supporre che fosse anche ignaro di ogni repressione, anche se in realtà l’artefice principe e ideatore di ogni nefandezza era proprio lui, Stalin, “deus ex machina” della Grande Madre Russia.

Stalin e Berija Per contrapposizione Berija divenne invece nell’immaginazione popolare e nella letteratura storica e romanzesca dell’Unione Sovietica il Grande Satana dello stalinismo, e cioè colui a cui imputare ed ascrivere la responsabilità delle feroci repressioni e delle odiose nefandezze che costituirono l’essenza del “Male assoluto”.

Berija nacque in Georgia, come Stalin, il 20 marzo 1899 (vent’anni dopo di lui) in epoca zarista, ma non combattè mai per la rivoluzione che portò poi Stalin al potere.

Si iscrisse al Partito Bolscevico nel 1917, e successivamente negli anni ‘30 divenne capo della polizia e leader del partito sia in Georgia che in Transilvania, mettendosi in luce per la sua intransigenza e per la crudeltà dimostrata verso i suoi stessi connazionali georgiani.

Nel 1928 divenne efficiente persecutore dei kulaki, i contadini proprietari che venivano indicati come simbolo da abbattere senza pietà, e perseguì con tenacia il progetto di collettivizzazione delle campagne deportando in Siberia parecchie decine di migliaia di loro.

testatachi In seguito, la politica dell'ammasso dei cereali portò alla più grande carestia della storia in Ucraina, denominata “Holodomor”, che provocò milioni di vittime per fame.

Nel 1934 partecipò insieme a Genrich Jagoda (capo dell'NKVD) al complotto per assassinare Sergej Kirov, il prestigioso capo del Partito di Leningrado, che insidiava il potere di Stalin.
Si lanciò subito dopo in una vera e propria caccia alle streghe contro i presunti cospiratori, riuscendo così a fare “piazza pulita” di ogni ostacolo o concorrente verso la corsa di Stalin al potere dell’apparato comunista.

Divenne il fedelissimo esecutore degli ordini di Stalin, oltre che un provetto addetto alle repressioni, riuscendo così a sopravvivere alle terribili e successive purghe del 1936-38 e ad iniziare anch’egli la scalata verso il potere e verso i massimi vertici del Partito.
Come capo della Polizia politica Berija diresse l’imponente organizzazione dei gulag, il sistema di campi di lavoro in cui trovarono la morte milioni di cittadini sovietici come deportati.

Nel 1939 si occupò di politica estera rendendo possibile il famigerato Patto Von Ribbentropp-Molotov, per mezzo del quale i nazisti e i Sovietici divennero alleati spartendosi arbitrariamente i territori della Polonia.
L’attività predatoria di Berija nella divisione del territorio polacco si svolse nella parte orientale, insieme all’NKVD.

In base agli accordi con Hitler, furono annessi all’Urss i territori dell’Ucraina Occidentale, della Bielorussia Occidentale, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania, della Bessarabia, e della Bucovina Settentrionale, e iniziarono gli arresti e le deportazioni delle popolazioni di quei luoghi verso i gulag sovietici.
La sua ferocia trovò sfogo nell’eccidio della foresta di Katyn, in cui ventimila soldati polacchi, prigionieri di guerra, vennero fucilati e seppelliti con la compiacenza di Stalin.

katyn Per lungo tempo la macchina disinformatrice comunista imputò l’eccidio ai nazisti, fino a quando la verità non emerse chiaramente.

Sotto la guida di Berija, nell’agosto del 1940, il comunismo sovietico organizzò e portò a termine l’omicidio di Lev Trockij.

Dal 1941 al 1944 promosse e diresse la deportazione di tedeschi, calmucchi, caracaevi, balcari, ceceni, ingusceti, e tatari di Crimea.

I tatari della Crimea deportati furono 193.865, e di questi circa 10.000 furono lasciati morire di fame.
Per quanto riguarda i calmucchi fu deportata l’intera popolazione, della quale circa la metà morì durante l’esilio.
L’esodo forzato dei calmucchi verso la Siberia iniziò senza alcun preavviso in pieno inverno, su carri bestiame, dando inizio a quello che si rivelò poi essere un vero e proprio genocidio.

Il 23 febbraio 1944 Berija, su ordine di Stalin, iniziò anche la cecena e ingusceta nell’Asia Centrale.

Furono deportate più di 500.000 persone, di cui oltre la metà perirono durante il viaggio o per mano dei loro aguzzini sovietici.
Le donne incinte e i vecchi, oltre a coloro che potevano causare ritardi nell’esodo forzato (come i malati e i bambini), furono riuniti e uccisi prima della partenza, come nel caso del villaggio di Khaibakh, in cui vennero arse vive 700 persone.
I sopravvissuti al viaggio furono abbandonati al loro destino nelle immense lande deserte e ghiacciate del Kazakistan e del Kyrgyzstan, privi degli indumenti invernali, a fronteggiare la fame, le malattie e l’inverno che sopraggiungeva, provocando anche in questo caso un vero e proprio genocidio, come riconosciuto poi nel 2004 (60 anni dopo) dal Parlamento Europeo.

Il 29 febbraio 1944 Lavrentij Berija, il capo della polizia segreta dell'NKVD, scriveva a Stalin:

"Riferisco i risultati dell’operazione di risistemazione dei Ceceni e Ingusci.
La risistemazione ha avuto inizio il 23 febbraio nella maggior parte dei distretti, eccettuati i villaggi nelle alte montagne.
478.479 persone sono state sfrattate e caricate nei vagoni speciali, incluso 91.250 ingusci.
180 treni speciali sono stati caricati, di cui 159 mandati al posto predestinato.


Il 23 febbraio di ogni anno si commemora la “Giornata Mondiale della Cecenia”, in ricordo delle 500 mila vittime cecene e ingusce e per riflettere sulle atrocità commesse dal comunismo, anche se pare che nel “civile” Occidente pochi ne siano a conoscenza.

Nel 1945 Berija divenne sovrintendente al progetto per la realizzazione della Bomba Atomica e membro effettivo del Politburo, poi Vicepresidente del Consiglio dei Ministri.
Alla morte di Stalin divenne così, insieme a Molotov e a Malenkov l’uomo più potente dell’Unione Sovietica, finendo per rappresentare una minaccia, al punto che Krusciov complottò per eliminarlo.
Fu catturato e sottoposto a tortura all’interno delle mura del Cremlino ma i dettagli sulla sua morte sono ancora avvolti nel mistero.

Secondo Amy Knight, ricercatrice presso la Library of Congress di Washington, Berija sarebbe caduto sotto i colpi sparati dal mitra corto del Maresciallo Georgij Konstantinovic Zukov, nei corridoi del Cremlino, coadiuvato nell’impresa dal Generale Moskalenko, entrambi uomini di Krusciov.
Una diversa versione dell’accaduto, riferita da Krusciov anche ad una delegazione del PCI guidata da Giancarlo Pajetta, affermò che Berija sarebbe stato strangolato dai membri del Presidium durante una colluttazione avvenuta nel corso di una seduta, nel mese di giugno.
La versione ufficiale diffusa dai media, sosteneva invece che Berija fosse stato processato e fucilato, ma il figlio di Berija successivamente affermò a mezzo stampa che il padre non era presente al processo, ma al suo posto ci fosse una controfigura.

Si sa comunque che nel 1955 i familiari vennero esiliati a Maklakovo, come testimoniato da Karlo Stajner nel suo libro intitolato "7.000 giorni in Siberia".
Per meglio evidenziare la personalità schizofrenica di Berija, è sufficiente esaminare il suo comportamento persecutorio nei riguardi di Nestor Lakoba, un vecchio bolscevico accusato di ogni nefandezza possibile.

villa Alla morte di Lakoba, sopravvenuta in seguito alle torture, Berija fece arrestare anche la moglie di quest’ultimo e la fece torturare dai carnefici dell’NKVD.
Ogni notte la prigioniera veniva sottoposta a crudeli sadismi e riportata poi in cella coperta del suo stesso sangue.
Berija voleva obbligare la sventurata a firmare un documento in cui accusava il marito di tradimento, ma di fronte al suo rifiuto si accanì contro il figlio quattordicenne, che iniziò così ad essere bastonato in sua presenza.
Sfinita dalle torture la moglie di Lakoba morì e suo figlio fu deportato in un gulag.
Dopo qualche tempo il ragazzo scrisse a Berija per chiedere il permesso di poter continuare a studiare, anche se recluso, ma questi lo convocò e lo fece fucilare immediatamente.

Berija era noto anche come pedofilo, a causa del suo morboso interesse per le ragazzine molto giovani, che attirava nella sua casa-prigione dotata di celle per la detenzione situate nelle cantine.

Le cantine della sua casa, oggi sede dell’ambasciata tunisina, nascondono ancora le ossa delle sue vittime, dietro falsi muri o cementate nella muratura.
Nel 2001, infatti, dopo il rifacimento della cucina, furono ritrovati il femore e alcune ossa delle gambe di una delle sue giovani e sventurate vittime.

Berija era, oltre che il sadico uccisore di milioni di persone innocenti, anche un predatore sessuale che di notte si aggirava per Mosca in cerca di ragazzine adolescenti da trascinare a casa sua, per poi torturarle e stuprarle, prima di togliere loro la vita.

In Occidente Berija è pressochè sconosciuto ai più, a causa della colpevole disinformazione attuata dagli intellettualoidi della sinistra, che nascondendo e mistificando la realtà del comunismo sovietico, ne sono diventati complici.
Il volere a tutti i costi presentare il comunismo sovietico come se fosse stato un “Paradiso” dei proletari è senza dubbio criminale e subdolo, e priva la società di una obiettività storica oramai consolidata, e cioè della consapevolezza che il comunismo e i suoi artefici rappresentino il “Male assoluto” dell’ultimo millennio.

La ferocia, la morte, il sadismo, la furia cieca e irrazionale, tutti elementi prodromici ad un vero delirio di onnipotenza, sono infatti le caratteristiche su cui si fonda il marxismo, la filosofia da cui trae linfa vitale il comunismo.

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